Nel cuore delle Alpi Retiche, sopra il comune di Tresivio (provincia di Sondrio, Lombardia), sorge la località di Prasomaso, tra i 1.100 e i 1.250 metri di altitudine.
Nei primissimi anni del Novecento, in questo angolo montano, vennero costruite strutture sanatoriali dedicate alla cura della tubercolosi — tra le principali in Italia.
Uno di questi era il sanatorio denominato “Società per i Sanatori Popolari di Prasomaso” o “Umberto I”, progettato dagli architetti Diego Brioschi e Giovanni Giachi.
La scelta della località non era casuale: clima d’alta quota, aria pura, esposizione soleggiata, lontananza dalle città industriali. Tutto per dare un ambiente ideale ai malati.
All’apertura, la struttura era considerata all’avanguardia:
L’intera area occupava circa 60.000 metri quadrati.
Ben collocata sul versante sud della valle, con vista ampia sulla Valtellina e montagne circostanti.
Accoglieva persone da tutta Italia e anche dall’estero.
Era costruita in stile Liberty, e dotata di comfort per l’epoca: teatri, cabina telefonica, ampie terrazze panoramiche.
La strada di accesso non esisteva all’inizio: per raggiungere Prasomaso furono costruiti circa 8 km di strada da frazioni vicine, spesa a carico della società edilizia.
In molti racconti locali viene descritto come una “cittadella della cura”: un luogo che offriva dignità, speranza e salute a chi era malato di tubercolosi, malattia gravissima all’epoca.
Nonostante l’avvio prestigioso, il tempo e i cambiamenti storici hanno portato la struttura verso il declino:
Il calo della tubercolosi grazie a cure e antibiotici fece perdere gradualmente la funzione originale della struttura.
La chiusura definitiva dell’attività in modo stabile avvenne verso la fine degli anni ’60 o ’70.
Dopo la chiusura, la manutenzione venne meno, l’edificio si deteriorò a causa di agenti atmosferici, abbandono, vandalismi.
Oggi si parla anche di «rischio ecologico», per presenza di amianto e degrado strutturale.
In sostanza: un gioiello sanitario che aveva diritto di migliore sorte, è invece stato lasciato al suo destino.
Oggi Prasomaso è diventato un simbolo di struttura abbandonata. Ecco alcuni elementi salienti:
L’ingresso è ormai da strada stretta e tortuosa, con parapetti arrugginiti e segni dell’abbandono.
Le stanze, i corridoi, gli arredi sono fatiscenti: vetri rotti, porte divelte, pareti imbrattate.
Un sentimento di contrasto forte: dove una volta c’era vita e cura, oggi regna il silenzio, il degrado, e la memoria che chiede rispetto.
Si sono avviate petizioni locali per ottenere un recupero della struttura: ad esempio una petizione online raccolse centinaia di firme per «riaffidare la vita al sanatorio».
Il caso di Prasomaso pone alcune riflessioni importanti:
Valore storico e architettonico: la struttura rappresenta un pezzo di storia sanitaria italiana, della lotta contro la tubercolosi, e della medicina del Novecento.
Sfida del recupero: per tornare a dare utilità e nuova vita alla struttura servono risorse, volontà politica e visione (turismo sanitario, riqualificazione, albergo storico, centro culturale…).
Memoria vs. oblio: lasciare questi luoghi al degrado significa perdere non solo un edificio, ma un pezzo della nostra memoria collettiva.
Impatto locale: la struttura ha influenzato per decenni la vita della comunità di Tresivio e zone vicine. Il suo abbandono ha conseguenze anche sociali ed economiche.
Se dovessi dargli un motto: “dove un giorno si curava la tubercolosi, oggi bisogna curare la memoria”.
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